Interviste

Intervista a Kit Nagamura, a cura di Leonardo Lazzari

Kit Nagamura, haijin, giornalista e co-conduttrice del programma televisivo NHK Haiku Masters, risponde alle domande di Leonardo Lazzari.

 

L.L. Benvenuta, cara Kit! Partiamo da una domanda basilare, così da capire in che modo si muove lo haiku: com’è iniziata la vostra relazione? Sei stata tu a trovare lui o lui ha trovato te?

K.N. Questa è una bella domanda da cui iniziare, ma difficile da rispondere. Quando avevo sei anni, il mio nonno svizzero (un professore di lingue romanze) mi diede un piccolo libro, di misura e peso perfetti per le mani di un bambino. Si trattava di Cricket Songs, una raccolta di haiku giapponesi tradotta da Harry Behn. Mio nonno disse qualcosa come “se stai imparando a leggere, inizia con qualcosa che valga la pena leggere”. Adoravo mio nonno; era l’esperto di famiglia in fatto di parole, il nostro “dizionario vivente”, così mi tuffai nel libro. Le pagine erano piene di fantastici dipinti sumi-e, che fissavo per ore e ore. Quando finalmente iniziai a saper leggere tutte le parole dei componimenti poetici, ne compresi il senso. Esprimevano amore e attenzione per cose a cui anch’io tenevo: la luna sul mare, il canto delle rane, le ombre in movimento, il senso di perdita e guadagno. Essendo cresciuta con una madre artista (rivelatasi un’eccellente realizzatrice di stampe su legno) e un padre architetto/pittore (che aveva studiato in Giappone nei primi anni ’50 ed era stato ispirato dalla cultura), non fu una sorpresa il fatto che io riuscissi a comprendere lo haiku.

All’età di undici anni avevo capito di voler diventare un poeta e a dodici anni avevo pubblicato i miei primi haiku sulle riviste letterarie delle scuole superiori. Ho studiato scrittura durante tutta la mia carriera scolastica, alternandomi tra poesie, racconti e giornalismo. Lo haiku era sempre nella mia mente: mentre portavo a termine un dottorato di ricerca, mentre mi sposavo, diventavo mamma e mi trasferivo in Giappone. Eppure, fino a quel momento, avevo pubblicato solo pochi haiku. Tuttavia, qui è dove le cose sono cambiate: ho iniziato a impegnarmi profondamente nella scrittura di una rubrica che ho ideato per il giornale The Japan Times, intitolata The Backstreet Stories. Per affrontare questo lavoro, dovevo camminare per ore, giorni, su e giù per le strade sconosciute di Tokyo. Dovevo osservare, intervistare le persone e scovare le caratteristiche uniche della zona. Questo è un grande allenamento per qualsiasi poeta, ma un giorno ho incontrato un fabbro che creava coltelli in una piccola fucina. L’ho intervistato per diverse ore e quando sono tornata a casa, quella sera, lui mi ha mandato uno haiku che descriveva perfettamente la giornata. Ciò mi ha ricordato il mio grande amore per il genere. Ho iniziato a studiare questa forma poetica direttamente in Giappone, sia in inglese che giapponese.
Ho trovato io lo haiku o mi ha trovato lui? Penso un po’ entrambe le cose.

L.L. Sappiamo che la tua vita si snoda tra Giappone, Paese nativo dello haiku, e Stati Uniti, culla dello haiku occidentale. Ciò ti rende la persona più adatta a cogliere le differenze tra i due generi: trovi che sia una questione di sfumature o noti, a seconda di lingua e collocazione geografica, una profonda discordanza nell’approccio?

K.N. Se vi è una discordanza tra haiku giapponesi e haiku scritti in altri Paesi, può essere utile notare che c’è una grande discordanza anche tra gli stessi autori nipponici, per quanto riguarda sfumature e approcci. In Giappone ci sono poeti che definiscono haiku i propri lavori, pur facendo a meno del kigo (riferimento stagionale), trattando liberamente di guerra, cancro, manga, detersivo per piatti o giochini sessuali. Allo stesso tempo, ci sono gruppi che deridono tutto ciò che non è strettamente legato al saijiki (elenco di kigo). Ci sono diatribe sullo haiku ovunque, in tutto il mondo, e gli schieramenti per cui scegliere di parteggiare sono numerosi. L’unica cosa che ho notato dell’approccio statunitense è, in particolar modo, che lo haiku sembra soffrire per via della definizione che se ne dà durante la scuola elementare: 5/7/5 sillabe attraverso cui esprimere pensieri arguti. Sebbene questa approssimazione della forma giapponese produca qualche notevole haiku, o senryu (genere parente dello haiku che si nutre di arguzia), si tratta comunque di un modo riduttivo di insegnare lo haiku e tende a dar vita a componimenti verbosi, autoreferenziali o buoni semplicemente per una risata.

L.L. Quale accezione ha la meglio su di te, sul tuo modo di fare e di comporre?

K.N. Ho passato molto tempo a evitare di dare una risposta a questa domanda. Ci sono molti che si esprimono in favore di un approccio o di un altro, e schierarsi e prendere posizione può essere divisivo e alimentare le divergenze; io preferirei non discutere. Detto questo, il mio lavoro vira principalmente verso lo haiku basato sullo studio del saijiki (il mio è di 1600 pagine e include le opere di poeti di ogni secolo). Personalmente, trovo rigenerante ed essenziale prestare molta attenzione alla (poca) natura rimasta intorno a noi e mettere da parte l’ego umano, quando possibile. Tutte le altre cose che facciamo durante il giorno ruotano attorno a noi stessi e alle altre persone; lo haiku è un’evasione da quella visione limitante. Una poesia in tre versi senza riferimenti stagionali, incentrata interamente su emozioni o desideri umani, non mi sembra nient’altro che questo: una poesia in tre versi. Non c’è nulla di male in ciò, ma lo haiku come genere esiste da secoli e studiarlo mi aiuta a vivere in modo più olistico. Quando non riesco a lasciar andare la mia fissazione con me stessa, mi limito semplicemente a scrivere un diverso tipo di poesia. A volte, solo per confondere un po’ le cose, gioco con gli haiku e infrango tutte le regole, e mi sento come se chiedessi a un monaco di denudarsi e correre in un negozio di alimentari. Può avere risultati interessanti, ma non ritengo possibile farlo tutti i giorni. Alla fine, o lo haiku funziona e crea una connessione con i lettori, oppure no. Le regole di scrittura provengono da coloro che hanno un’inflessibile integrità personale, desiderosi di prendere una posizione netta; io preferisco ammorbidire la mia integrità e camminare.

L.L. Adesso, per favore, rivelaci qualche segreto a proposito del lavoro che svolgi per NHK Haiku Masters: come avviene la selezione dei componimenti che ricevete? Al di là dei generici canoni estetici, ogni giudice/selezionatore propende per uno stile differente: come si mettono d’accordo teste diverse? Come si va incontro ai gusti di tutti gli addetti ai lavori?

K.N. I co-conduttori che appaiono su NHK Haiku Masters con me sono professionisti navigati, famosi e rispettati in Giappone, e i loro stili sono molto diversi, come si può notare. Sedere allo stesso tavolo con loro è un onore che non do per scontato, e ho imparato ad ammirare profondamente loro e i loro approcci unici all’arte. Il processo di selezione per NHK è lungo e minuzioso. Dato che tutti gli haijin dello show, compresa me, hanno già fatto parte della giuria di numerosi concorsi, siamo una squadra ben congegnata. Noi co-conduttori, insieme ad altri tre haijin professionisti, leggiamo separatamente gli haiku ricevuti, ognuno in casa propria. Non ci vengono comunicati né nomi né dettagli, solo gli haiku. In seguito inviamo a NHK una dozzina dei componimenti che preferiamo. I conduttori, poi, si incontrano separatamente, per diverse ore, con il regista, il produttore, un traduttore che adatta gli haiku in lingua giapponese, e altre persone, per restringere la selezione e commentare i lavori. Questo passaggio è una sfida per me, giacché devo prima comunicare le mie impressioni in giapponese, dopodiché devo concentrarmi e fornire i miei commenti in inglese, pur essendo circondata dalla lingua giapponese parlata sul set dello show. In ogni caso, alla fine ci riuniamo tutti insieme ed effettuiamo la selezione definitiva. La cosa sorprendente è che di solito ci troviamo immediatamente d’accordo sui componimenti migliori; sono le scelte di livello più basso quelle in cui si alternano domande e opinioni diverse. Tutti noi seduti a quel tavolo impariamo qualcosa. Io imparo nuova terminologia haiku, altri imparano nuovi vocaboli inglesi e modi di intendere una frase, e tutti discutiamo delle esperienze di vita che ci hanno portato ad avere determinati punti di vista. È una sessione appassionante, che talvolta arriva a durare anche quattro ore, ma alla fine sento che non avrei potuto trascorrere la giornata in modo migliore.

L.L. Gli haiku in arrivo dalla stessa nazione sembrano presentare – pur nascendo da autori distinti – un sentire comune o il Paese di origine non conferisce allo scritto alcun tratto distintivo?

K.N. Quando do una prima occhiata, naturalmente nomi di luoghi, festività, flora, fauna, o situazioni politiche, talvolta, mi suggeriscono il Paese d’origine dell’autore. A volte mi faccio un’idea della nazionalità del poeta senza indizi immediati, semplicemente attraverso piccole variazioni nella scelta delle parole, nella “melodia”, o a seconda dell’approccio nei confronti di un tema. Potrei dire che i poeti irlandesi tendono ad essere sentimentali, gli statunitensi all’ironia della vita, gli italiani al gusto delle cose, e gli indiani al senso dell’udito e dell’olfatto. Ma nello stesso istante in cui affermo queste cose, mi vengono in mente tantissimi haiku che potrebbero provare il contrario. Quindi, per la verità, lasciami dire che un buon haiku di solito non ha confini. Questo perché, in natura, condividiamo la stessa luna, il mare, le mele. Quella comunicazione senza confini che Matsuo Bashō ci ha donato, che ancora oggi continua ad attrarre lettori di tutto il mondo, è qualcosa da tenere bene a mente mentre scriviamo.

L.L. Oltre che haijin, Buson fu anche un importante pittore, tant’è vero che i suoi haiku evidenziano una ricercatezza estetica basata prevalentemente sul senso della vista. Chi ti segue sa che ti dedichi anche alla fotografia: la conoscenza di quest’arte, in qualche modo, influenza la tua scrittura?

K.N. È meraviglioso che tu mi faccia questa domanda! Ho studiato i lavori di Buson durante un master presso l’Università del Michigan, perdendomi tra i suoi dipinti durante le fosche ore dell’alba. Per lungo tempo è stato uno dei miei artisti di nanga preferiti, con i suoi contadini dai visi dolci, rocce nobili e paesaggi rigogliosi. Buson era sensualmente evocativo, e penso che se ci fossimo incontrati, avremmo bevuto sakè insieme sotto un pero in fiore. Come fotografa, e figlia di visual artists, il mio senso primario è la vista. Ho capito in tenera età che avrei combinato immagini e scrittura; a otto anni ho realizzato il mio primo libricino di haiku con illustrazioni su legno; la mia tesi di laurea alla Brown è stato un libro di narrativa illustrata. Ho cercato per decenni di mettere da parte una delle due cose e concentrarmi solo sull’altra, ma ho fallito. Alla fine, lo haiku ha influenzato la mia arte fotografica, facendomi diventare un’osservatrice più attenta, e delle volte, mentre sto per scattare una foto, spunta fuori uno haiku. Detto ciò, lavoro sodo per non lasciare che solo la vista domini i miei scritti.

L.L. In conclusione, per permettere ai lettori di conoscerti meglio, ti va di pubblicare qui tre tuoi haiku?

K.N.
a flock of sparrows
chatters soundlessly . . .
air conditioning

uno stormo di passeri
chiacchiera silenziosamente…
aria condizionata

Ito-en Oi Ocha International Haiku Contest, Award of Excellence, 2015

stars
the year’s end full
of constants

stelle
la fine dell’anno piena
di costanti

the smell of forest
on grandfather’s pocket knife –
mushroom gathering

odore di foresta
sul coltello da tasca del nonno –
raccolta di funghi

Tokutomi Memorial Haiku Contest, Honorable Mention, 2018

L.L. E il tuo haiku preferito?

K.N. Questa è una domanda che mi fa sempre vacillare. La mia risposta, di solito, ha molto a che fare con ciò che sto studiando in quel momento, e in questo periodo mi interessa la fusione tra gli elementi, oppure quando una cosa, legandosi a un’altra, diventa ciò che realmente è. E così, recentemente, un meraviglioso poeta qui in Giappone mi ha mandato una raccolta di opere di Yoshiko Yoshino, intitolata Tsuru, tradotta da Lee Gurga e Emiko Miyashita, entrambi poeti di grande talento. Uno degli haiku di Yoshino ha attirato la mia attenzione:

紅梅の紅のただよふ中に入ろ

I fiori di pruno
fluttuano di rosso:
immergiamocene[1]

Questo mi riporta alla mente un altro dei miei componimenti preferiti, di William J. Higginson, che penso sia piuttosto conosciuto.

Holding the water
held by it –
the dark mud

tenendo l’acqua
tenuto da essa –
il fango oscuro

Ti ringrazio tanto per le tue domande, Leonardo. Ci terrei a incoraggiare i tuoi lettori a guardare NHK Haiku Masters e a continuare a scrivere!

L.L. Grazie a te, Kit, per la tua disponibilità e le interessanti risposte. A presto!

[1] Traduzione dal giapponese all’italiano di Matteo Contrini.

Immagine: Tsuchiya Koitsu, Passeri, 1949 ca.

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